Il Beato Alberto da Castel Gualterii, Vescovo e Patriarca di Gerusalemme è l’unico reggiano proclamato Santo, dapprima inserito nel calendario diocesano di Guastalla, con diritto di Ufficio e Santa Messa, poi in quello reggiano con decreto della Santa Sede del 10 febbraio 1923.
Il Beato Alberto si presenta al mondo d’oggi con credenziali straordinarie: monaco, abate, vescovo, patriarca di Gerusalemme, legato apostolico, legislatore dei Carmelitani e Santo, oltre questi innumerevoli titoli, come sempre avviene, la grandezza dell’uomo e del vescovo la scopriamo attraverso le sue azioni, il suo spirito di servizio, le sue opere, il suo pensiero, come vedremo, molto attuale.
Delle origini e della prima giovinezza di Alberto disponiamo di scarse conoscenze. La data di nascita è collocabile tra gli anni 1149-1152, mentre la fonte più antica che accenna al luogo di nascita del Santo, fa riferimento ai Necrologi Eusebiani di Vercelli, in cui è detto semplicemente …fuit igitur vir domini memoratus de castro Gualterii parmensis diocesis nobili prosapia ortus… Da cui apprendiamo che Alberto nacque da una nobile famiglia presso castrum Gualterii, nella diocesi di Parma. Si tratta di un toponimo latino che, all’epoca, indicava due diverse località della nostra provincia, entrambe sotto la giurisdizione ecclesiastica di Parma: Gualtieri e Gualtirolo, quest’ultima importante presidio fortificato del territorio campeginese, che solo verso la fine di quel secolo assumerà la denominazione di Castrum Gualtirolum”. La mancanza di altre e più precise indicazioni, come l’identità paterna e materna o di altri congiunti, non ha mai permesso di stabilire con certezza le origini del Santo.
Sant’Alberto, uomo del dialogo
Alberto, all’età di circa vent’anni, probabilmente negli ambienti ecclesiastici di Parma, entrò in contatto con esponenti dei Canonici Regolari, la cui scelta di vita comunitaria si rifaceva alle norme e consuetudini dei padri della Chiesa e alla regola di sant’Agostino, unendo la dedizione alla preghiera, all’apostolato nelle parrocchie. Alberto entrò tra i Canonici Regolari della Santa Croce di Mortara, di cui fu priore dal 1180. Dopo soli quattro anni fu nominato vescovo di Bobbio e dal 1185 per vent’anni resse la diocesi di Vercelli. Si occupò della riorganizzazione della Chiesa locale, del bene spirituale del popolo con molto zelo, improntandolo alla vita comunitaria, tenendo il sinodo del suo clero, istituendo la cattedra teologale e svolgendo un’intensa attività legislativa.
Fu universalmente stimato per la sua capacità di mediatore e di pacificatore tanto che gli furono affidate da Papa Innocenzo III delicate missioni per comporre liti tra le città di Pavia e Milano e ancora fra Parma e San Donnino (Piacenza), che stavano per affrontarsi in battaglia. Questioni che Alberto seppe risolvere con rara prudenza e fermezza, come del resto le ancor più complesse contese fra il papato e l’imperatore germanico Federico Barbarossa, in seguito al cui esito positivo, acquisì la carica di Principe dell’Impero. Un riconoscimento importante che testimonia le sue indubbie doti spirituali, morali, amministrative. In quegli anni di profonda crisi della Chiesa, Alberto seppe anteporre il dialogo al tormentato rapporto tra i poteri secolari del tempo, il Papato da una parte e l’Impero dall’altra, senza dimenticare l’ormai incalzante e volitiva autonomia del nascente sistema comunale.
Nel 1205, Papa Innocenzo III lo nominò Patriarca Latino di Gerusalemme e Legato Apostolico di tutta la provincia occidentale d’Oriente. Il vescovo assunse il mandato e, al principio del 1206, stabilì la sua nuova sede ad Acri, non potendo entrare in Gerusalemme perché occupata dai Saraceni.
La situazione politica e religiosa di quella regione era particolarmente grave e delicata per i contrasti tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente e per i postumi delle Crociate stesse, di cui si era da poco conclusa la quarta (1202-1204). L’opera di mediazione del patriarca Alberto, tra i cristiani e i musulmani e tra i cristiani medesimi, si rivelò decisiva, sia in campo politico che religioso.
Innocenzo III attribuì alla sua azione il merito di aver impedito che la Terra Santa cadesse sotto il dominio completo dei Saraceni e, in più occasioni, gli manifestò il suo apprezzamento, invitandolo, infine, a far parte del Concilio Lateranense IV, che si sarebbe svolto nel 1215.
Nel frattempo, Alberto, visitando la Palestina, intrattenne rapporti con una comunità di eremiti latini che vivevano sul Monte Carmelo e in seguito alla loro richiesta ne organizzò la convivenza e la regola spirituale; divenne, così, il primo legislatore dell’ordine Carmelitano che gli prestò sempre un culto particolare, celebrandone la festa l’otto aprile, con il titolo di Beato.
L’anno precedente lo svolgimento del Concilio Lateranense, il 14 settembre 1214, mentre partecipava a una processione, per mano vendicativa e brutale di un maestro dell’ospedale del Santo Spirito di Acri, che egli aveva deposto dal suo ufficio per la sua pessima condotta morale, Alberto fu pugnalato a morte. In questo modo, aveva fine la vita terrena di un uomo che, chiamato dalla Chiesa a ricoprire ruoli di grande responsabilità, si avvalse della sua sapienza, della sua autorevolezza, delle sue doti spirituali, ponendosi sulla strada del dialogo, mediando tra le diversità, per generare, in ogni circostanza, le condizioni necessarie alla convivenza civile.
Dispute locali sulle origini di Sant’Alberto
Uno degli aspetti postumi che riguardano la carismatica figura del Beato Alberto da Castel Gualterii, sono le sue stesse origini. In proposito è interessante ricordare le accese dispute che sorsero intorno agli anni Trenta. Ricordiamo, in particolare, monsignor Anselmo Mori, parroco di Gualtieri, che difese con molto vigore i natali gualtieresi del Santo, individuandone la discendenza dalla famiglia degli Avogadri e monsignor Giovanni Saccani, parroco di Cadelbosco Sopra, che con altrettanta fermezza, riteneva che Alberto discendesse dalla stirpe dei conti di Sabbioneta, signori della corte e del castello di Gualtirolo.
Che fosse della famiglia Avogadri, monsignor Mori lo asseriva rifacendosi a una tesi del canonico di Vercelli Marco Aurelio Cusano, basata su una tradizione antichissima e mai documentata. A suffragio di questa teoria, il parroco richiamava anche forme di culto pubblico testimoniate da tre tele raffiguranti Sant’Alberto conservate presso le chiese di Gualtieri, risalenti ai primi decenni del Settecento, epoca molto posteriore a quella in esame. Lo stesso Marco Aurelio Cusano scrisse inoltre che gli avi del Beato Alberto erano signori di Castel Gualtieri, ma gli Avogadri, che pure risiedettero in quel luogo, non lo furono mai, né tanto meno furono signori di Gualtirolo.
Se quindi è vero che il Beato Alberto è nato in Castel Gualterii nella diocesi di Parma da una famiglia dominante, secondo la tesi di monsignor Saccani, questa famiglia può essere individuata solo nei Sabbioneta. Moltissimi documenti dell’XI e XII secolo, difatti, testimoniano la signoria dei conti di Sabbioneta sul castello del Gualtirolo, ragione per la quale, in questo caso, bisogna considerare il Beato Alberto campeginese a tutti gli effetti, senza per questo mettere affatto in dubbio la buona fede delle affermazioni di monsignor Mori.
Due interpretazioni diverse che, ancora oggi, in assenza di fonti certe, non si possono dirimere, lasciando racchiuso in quel necrologio del calendario di Vercelli l’enigma delle origini del Santo. Sul territorio di Campegine non risultano forme di culto pubblico del Santo. Presso la chiesa di Campegine, tuttavia, si conserva una tela, opera di Pietro Desani (1595 – 1657), che ritrae la Beata Vergine, S. Giovanni Battista e Sant’ Alberto Patriarca di Gerusalemme.
Si tratta di un’opera un tempo custodita presso la cappella della famiglia Geminelli nell’antica Chiesa di Santa Maria del Carmine, detta Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, trasferita, probabilmente non a caso, proprio a Campegine, già nel 1769, quando le mura di quel luogo di culto, in stato di grave degrado, furono abbattute, per far posto all’ampliamento del preesistente ospedale cittadino, la cui conduzione, in origine, vale a dire negli ultimi decenni del Trecento, era affidata all’Ordine dei Carmelitani.
Il quadro, per lungo tempo creduto disperso, fu rinvenuto e identificato, nel 1973, nella parrocchia di Campegine, durante la campagna di rilevamento dei beni artistici della Provincia. Secondo il Malvasia, biografo di Pietro Desani, l’opera, di non eccelsa qualità, rappresenta l’episodio conclusivo della vicenda terrena del pittore.
Un ricordo indiretto di Sant’Alberto lo offre anche la pala d’altare della cappella del locale cimitero, dedicata alla Madonna del Carmine (cm.108×159 cm.39 raggio lunetta).
Si tratta di una splendida raffigurazione che risale alla prima metà dell’Ottocento, ignobilmente sottratta alla memoria dei campeginesi da mani ignote, il 21 dicembre 1998. (Testo di Giovanni Cagnolati)